Nel corso del Novecento il panno Casentino ha conquistato un vasto pubblico. Celebrità e figure della cultura e dell’arte lo hanno scelto come elemento distintivo dei propri capi: ad esempio, nel film Colazione da Tiffany, Audrey Hepburn indossa un cappotto realizzato con questo stesso tessuto.
Nonostante l’importanza culturale del panno Casentino, la data precisa della sua nascita rimane avvolta nel mistero, così come non è possibile stabilire con certezza quale lanificio locale fu il primo a produrlo.
Il nodo cruciale riguarda l’introduzione della ratinatrice, la macchina fondamentale per conferire al tessuto l’effetto riccioluto che lo caratterizza. Parole chiave: “ratinare” vuol dire “accottonare”, ovvero lavorare la superficie della lana per far emergere i batuffoli.
Secondo le ricerche del museo, verso la fine dell’Ottocento o nei primi decenni del Novecento solo due industrie locali — quelle di Stia e Soci — avevano la capacità di importare tali macchine dall’estero.
La ratinatrice è composta da due fiancate laterali, un corpo principale e due larghe tavole orizzontali fra le quali scorre il tessuto teso. La tavola superiore esercita una pressione regolabile sul tessuto e — grazie a un movimento circolare (o anche rettilineo per corse ondulate) — è in grado di realizzare i riccioli distintivi del panno Casentino.
Nel contesto casentinese, la macchina subiva modifiche tecniche — in particolare alle guarnizioni — per adattarsi alle caratteristiche specifiche della lana locale, garantendo un effetto più pronunciato.
Nel 1916 si trovava già nel lanificio di Stia una ratinatrice di fabbricazione tedesca (marca Tilman Essen-Inhabert: Mateheé & Scheiber, da Aachen). Tuttavia, non è chiaro in che anno esattamente fosse stata acquistata.
Tra gli anni Settanta e successivi, la ratinatrice fu smembrata o perse traccia della sua collocazione originaria, anche a Prato.
Solo grazie a ricerche pazienti è stato possibile ritrovarne un esemplare presso la ditta Ramtex, a Lonate Ceppino (VA).
Oggi quella macchina rappresenta un tassello simbolico del legame storico tra la valle casentinese e l’arte tessile, e testimonia la genesi di un tessuto che ha conquistato fama internazionale.